Poesia del
cazzo
Cazzo mi
chiamano.
Minchia,
pizza, nerchia, salame salamino, fratellino zucchina, cetriolo, salsicciotto,
pene, membro e chi più ne a più ne metta.
Mi direte
che cazzo ci frega lo sappiamo già.
E che cazzo
frega a me, che lo sapete.
Come si può
notare, il cazzo, e nel nostro linguaggio.
Che cazzo
vuoi.
Non rompere
il cazzo.
Ma che cazzo
dici.
Ma sei un
cazzone.
Ma sei una
testa di cazzo.
Non capisci
un cazzo.
E cosi via.
Immerso, in
una vasca piena di acqua profumata.
L’uomo si
guarda tra le cosce, con viso quasi pietoso guarda il suo povero cazzo.
E li appena
si vede, quasi annega.
Fratellino
ma ti svegli, che fai dormi.
Ma che cazzo
vuoi, dormivo cosi bene.
Ti devi dare
una mossa cazzo.
E che devo
fare.
Come e lo
domandi, ho l’impressione, che ti sei messo a riposo.
E si, e
venuto il mio momento, mi devo riposare.
Ma non se ne
parla.
Abbiamo
ancora, molte guerre da fare.
Ma di quale
guerra parli, qui nemmeno una battaglia, si può più fare.
Perché non
vuoi più ?.
Per fare le
guerre, battaglie, ci vogliono le cartucce, e tu, le ai sparate tutte.
Perché cera
un limite.
Certo non lo
sapevi.
Nessuno mi a
detto nulla .
Ai fatto
male, dovevi informarti.
Cosa credevi
di fare, mi ai usato come volevi mai mi ai chiesto, cazzo mio sei stanco, ti
vuoi riposare, ma no, e io poveretto, sempre li sul’attenti, adesso dobbiamo
provare la Brasiliana, la Spagnola, la nordica, la nera, al momento di entrare
mi sono sentito un bianconero.
Poi ai
iniziato con i culi, di tutti i tipi, e forme, e colori, per fino un culo gay.
E io ad
entrare, in quelle fogne puzzolenti.
Mi ai fatto
deliziare, solo con pompini e leccatine.
Ero sempre
li ad accontentarti.
E tu ancora
non contento, eri solo bastava una fica sulla rivista, e tu giù a farti una
sega, adesso bello mio rassegnati, siamo andati in pensione, tutte e due, e
adesso asciugami che ci manca che prendo freddo.
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